Puntuale come un orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora esatta, è arrivato anche quest’anno l’8 marzo. Alè donne, allegria! Si muove il Quirinale, che lascia sgocciolare dall’alto Colle il solito predicozzo sulle donne, in un profluvio di mimose, medaglie e polline. Si muove la politica che come in un refrain canoro intona il coro di come sono care e importanti le donne nella società e di quanto meriterebbero di più. E si mobilitano anche i tanti maschietti nella vita comune che, ben ammaestrati da televisioni e giornali, si sentono in dovere di presentarsi tutti con il giallo mazzolino ecologico (barbaramente reciso). Sembra proprio una reazione pavloviana: pronti via, arriva l’ 8 marzo e tutti scattano a omaggiare le donne.
Peccato poi, che il giorno dopo tutto torna come prima. Le donne tornano al loro posto (un po’ nascosto) nella società. Le cronache nere si riempiono di trucide ricostruzioni su donne bistrattate e bullizzate da uomini. Le carriere rimangono inchiodate: per una donna su, cinquemila giù. E sebbene siano tutte (si fa per dire) laureate, e un titolo in Italia non si neghi a nessuno, le donne vengono chiamate sempre e ovunque signora (il dottore, si sa, si declina solo al maschile).
Insomma, cari signori, non vogliamo feste dove per un giorno tutti omaggiano le donne e ci inondano di stucchevole retorica, promesse, complimenti e pelosa attenzione, per poi finire come al solito in soffitta. Un tempo si diceva: povero il Paese che ha bisogno di eroi. E’ tempo di dire: povero il Paese che ha bisogno di una festa per valorizzare le donne.
- A cura di VAR